L’obbligo del datore di lavoro di predisporre e consegnare al dipendente il prospetto di paga assolve al duplice scopo di garantire al lavoratore un’esatta informazione in ordine a tutte le componenti della sua retribuzione, nonché a quello di consentire i dovuti controlli da parte degli organi competenti.
La giurisprudenza ha da tempo ribadito che l’obbligo previsto a carico del datore di lavoro di consegnare ai lavoratori dipendenti all’atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, non attiene alla prova dall’avvenuto pagamento, per la quale non sono sufficienti le annotazioni contenute nel prospetto stesso. Ed invero, ove il lavoratore contesti la corrispondenza di quanto riportato in busta paga con la retribuzione effettivamente erogata, l’onere dimostrativo di tale non corrispondenza può incombere sul lavoratore soltanto in caso di provata regolarità della documentazione liberatoria e del rilascio di quietanza da parte del dipendente stesso, spettando, in caso contrario, al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti di fatto effettuati. A tale proposito, la mera sottoscrizione per ricevuta del prospetto paga non equivale a quietanza di pagamento se non contiene un’espressa dichiarazione in tal senso.
Peraltro, stante il disposto di cui agli artt. 2955 e 2956 C.C., il diritto dei prestatori di lavori per le retribuzioni maturate, con riferimento a periodi rispettivamente inferiori o superiori al mese, è soggetto alla prescrizione presuntiva di 1 anno ovvero 3 anni.
In realtà, la prescrizione presuntiva non comporta la vera e propria estinzione del diritto ma, trattandosi di presunzione iuris tantum, ammette la prova contraria, purché data nelle forme previste dagli artt. 2959 e 2960 C.C. (confessione in giudizio e deferimento del giuramento decisorio).
La prescrizione presuntiva non decorre, comunque, durante il rapporto di lavoro, salvo che quest’ultimo non sia garantito dalla stabilità.
Inoltre, la contrattazione collettiva spesso prevede che eventuali reclami sulla corrispondenza della somma pagata rispetto a quella indicata sulla busta paga o documento equipollente, nonché sulla qualità della moneta, debbano essere avanzati all’atto del pagamento, pena la perdita del diritto al reclamo per ciò che riguarda il denaro contenuto nella busta paga stessa.
Sempre la contrattazione collettiva può, altresì, prevedere che i reclami sulla retribuzione o sul rapporto di lavoro debbano essere presentati entro un termine di decadenza dalla cessazione del rapporto.
In caso di pagamento di acconti, la busta paga deve essere elaborata con riferimento ai compensi di fatto erogati, con l’indicazione che si tratta di un acconto rispetto al maggior credito maturato.
La mancata registrazione di ore di lavoro effettivamente prestate, oltre a comportare un’evasione contributiva, può essere rilevante anche dal punto di vista fiscale, c.d. “fuori busta”. Pertanto, il personale ispettivo dovrà informare di ciò gli organi competenti (INPS, Guardia di Finanza, ecc.).
Qualora, invece, l’azienda abbia dichiarato di applicare il contratto collettivo di categoria al fine di usufruire di sgravi o contributi, ma di fatto elude l’applicazione delle relative norme in quanto ad esempio registra meno ore di quelle effettivamente prestate dai lavoratori per ottenere, come minimo, un ulteriore risparmio contributivo, salvo che non operi il regime della contribuzione virtuale, si potrebbero rinvenire gli estremi del reato di truffa e/o di omissione/evasione contributiva.
La giurisprudenza ha, peraltro, ritenuto che la contabilità in nero risultante da appunti o scritti informali del datore di lavoro è di per se stessa un elemento indiziario grave, preciso e sufficiente per supportare le conclusioni dell’accertamento.