Il codice civile stabilisce che la scrittura privata con sottoscrizione riconosciuta fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza della dichiarazione da chi l’ha sottoscritta. Trattasi di efficacia probatoria privilegiata, al pari di quella concernente l’atto pubblico, peraltro limitata (la prima) soltanto alla provenienza del documento dal soggetto che ne figura come autore.
L’autenticazione è essa stessa atto pubblico, che accede alla scrittura privata, la quale resta documento privato. Si tratta di due atti distinti, ognuno dei quali mantiene la propria differente natura: atto pubblico uno; scrittura privata l’altro.
Allorquando il codice civile si è preoccupato di delineare l’efficacia della scrittura privata autenticata o riconosciuta, suo intento è stato soltanto quello di polarizzare l’attenzione del lettore sulla efficacia fisiologica del riconoscimento o dell’autenticazione; ma con ciò non si è voluto certamente ridurre l’ampiezza del compito attestativo spettante al notaio, il quale, se, oltre alla individuazione della parte e all’attestazione che essa ha sottoscritto in sua presenza (che costituiscono gli elementi essenziali dell’autenticazione), effettua altri accertamenti de visu et auditu e li dichiara nella formula di autentica, svolge in pieno tutta la sua attività certificativa ai sensi dell’art. 2699 c.c., per cui tutto quello che il notaio dichiara essere avvenuto in sua presenza fa piena prova fino a querela di falso.
L’art. 12, terzo comma, della legge di semplificazione 2005, L. 28 novembre 2005, n. 246, ha modificato l’art. i della L. 2 aprile 1943, n. 226 sui testimoni nelle scritture private autenticate, così disponendo: « nell’autenticazione delle sottoscrizioni delle scritture private è necessaria la presenza dei testimoni, qualora lo ritenga il notaio o una parte ne richieda la presenza. In tal caso il notaio deve farne espressa menzione nell’autenticazione ».
Si ricorderà che sia l’art. 72 L. not, sia l’art. 86 R. not. menzionavano i testimoni, ma soltanto in caso di loro presenza; queste due disposizioni, peraltro, non recavano norme atte a specificare se e quando la presenza dei testi fosse necessaria. Di qui il dubbio che, con l’avvento del codice civile, che per le autenticazioni di scritture private non menzionava i testimoni (ex art. 2703 c.c.), la legge notarile in materia fosse stata indirettamente modificata e che pertanto, sulla base delle norme codici-stiche, per le autentiche di scrittura privata l’assistenza dei testi non risultasse necessaria.
Per placare i dubbi interpretativi fu emanata la L. n. 226 del 1943, che aderiva non alla regola della necessaria presenza dei testi, bensì alla regola subordinata della possibilità di rinunciare all’assistenza dei testimoni.
Il nuovo testo dell’art. 12, terzo comma della legge sulla semplificazione nella sostanza si allinea alla modifica dalla stessa legge introdotta agli artt. 47 e 48 L. not. e stabilisce che i testimoni debbono essere fatti comparire soltanto se lo richiedano le parti o il notaio.
Quanto alla sanzione per l’inosservanza di questa norma, si ritiene che torni applicabile la sanzione disciplinare ex art. 138 L. not, come ha avuto modo, in passato, sulla base della precedente normativa, di precisare una sentenza della Cassazione (Cass. 3013/ 1975), per la quale l’art. 48 della legge notarile n. 89 del 1913 — il quale facultizza le parti stipulanti degli atti tra vivi, escluse donazioni e contratti matrimoniali, a rinunziare alla presenza di testimoni ed impone al notaio di fare menzione di tale rinunzia al principio dell’atto — si riferisce anche agli atti di autenticazione delle sottoscrizioni di scritture private, e l’omessa menzione della rinunzia ai testimoni è sanzionata disciplinarmente dal successivo articolo 138.