Un profilo importante della libertà sindacale è costituito dalla libertà negoziale delle parti.
In un regime di libertà negoziale le parti sono libere di scegliere la controparte contrattuale e, in linea di principio, non ha cittadinanza l’obbligo a negoziare per il datore di lavoro. Diventa difficile escludere il principio del reciproco accreditamento.
In omaggio al principio della libertà sindacale la Corte costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale del nuovo testo dell’art. 19 St. lav.
La nuova disposizione infatti utilizza come criterio selettivo per individuare i soggetti legittimati all’esercizio dei diritti sindacali la stipula del contratto collettivo indubbiamente e conferma il principio del mutuo riconoscimento tra le parti.
Pertanto, nel lavoro privato, diversamente da quello pubblico, il principio, del resto coerente con quello della libertà negoziale, rimane quello del reciproco accreditamento.
Il d.lgs. n. 276 del 2003 contiene un rilevante numero di rinvii ai contratti collettivi stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi e assegna ai suddetti contratti il perseguimento di determinate finalità.
In questi casi la formula usata dal legislatore sta a significare che il datore di lavoro è obbligato a convocare per le trattative i sindacati comparativamente più rappresentativi.
Si tratta però di stabilire se per perseguire le suddette finalità il contratto debba essere sottoscritto da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi convocati o soltanto da alcuni, e, tra questi, necessariamente dal sindacato che ha una rappresentatività maggiore rispetto agli altri.
Non sembra che il contratto per conseguire gli effetti voluti dalla legge debba essere sottoscritto da tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi, perché una soluzione del genere presupporrebbe non solo l’esistenza già segnalata di un obbligo del datore di lavoro a negoziare, ma anche di un suo obbligo a contrarre e cioè a concludere il contratto con tutti i sindacati comparativamente più rappresentativi.
Sembra verosimile ritenere che il contratto debba essere sottoscritto almeno da due sindacati che siano comparativamente più rappresentativi, non includendo in questa formula necessariamente il sindacato il più rappresentativo.
La previsione della condotta antisindacale non comporta per il datore di lavoro alcun obbligo a negoziare. Come vedremo in seguito (Parte Prima, cap. V), non costituisce condotta antisindacale il rifiuto dell’imprenditore di avviare le trattative con un determinato sindacato, se la legge non individua quel sindacato come soggetto legittimato a trattare. È considerata invece condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di consultare il sindacato in caso di trasferimento di azienda ‘ e nella vicenda dei licenziamenti collettivi.
In conclusione, nel lavoro privato l’obbligo a negoziare per il datore di lavoro non costituisce la regola e l’obbligo a contrarre non sussiste nella normale dialettica negoziale.
Nulla vieta, pertanto, che contratti anche importanti come, ad esempio, quello dei metalmeccanici del 2008, o addirittura Accordi interconfederali, come quello del gennaio 2009, possano essere stipulati non unitariamente (nella specie, senza rispettivamente la firma della Fiom e della Cgil).
Anche di recente i contratti Fiat si sono conclusi senza la firma delle organizzazioni espressione della Cgil.
Con la caduta dell’ordinamento corporativo è scomparsa anche la categoria che di quell’ordinamento costituiva il fondamento.
Nell’ordinamento corporativo le categorie erano autoritativamente individuate dalla legge, la quale riconosceva ad un unico sindacato la rappresentanza legale di tutti i lavoratori appartenenti ad una determinata categoria. La categoria, dunque, aveva una sua rilevanza sociale e giuridica e preesisteva al sindacato mentre quest’ultimo era l’ente esponenziale della categoria.
Viceversa nell’ordinamento attuale improntato alla libertà sindacale il contratto collettivo determina il proprio ambito di applicazione. Pertanto la categoria non preesiste giuridicamente al contratto ma è determinata o, se si preferisce, è forgiata dal contratto e, non a caso, si chiama categoria contrattuale.
È quindi evidente che i sindacati da un lato, e il datore di lavoro e le contrapposte associazioni dei datori di lavoro dall’altro lato, sono i soggetti legittimati a individuare l’ambito di applicazione del contratto collettivo, e cioè ad individuare i soggetti potenzialmente destinatari della disciplina collettiva.
Spesso le parti per determinare l’ambito di applicazione del contratto collettivo e cioè la cerchia dei potenziali destinatari richiamano e utilizzano la categoria intesa nella prassi sindacale come attività merceologica o come categoria sindacale: ad esempio i sindacati metalmeccanici, chimici, alimentari, della gomma, ecc.
Bisogna tuttavia precisare che l’iscrizione al sindacato, ossia un atto di autonomia del singolo datore di lavoro e del singolo lavoratore, anche revocabile, è il criterio che identifica la categoria sindacale.
Non sempre però categoria merceologica o sindacale e categoria contrattuale coprono la stessa area, perché può accadere che l’organizzazione dei datori di lavoro non sia simmetrica a quella sindacale. In altri termini l’iscrizione al sindacato non è sempre un dato sufficiente per l’individuazione del contratto collettivo applicabile. Ciò che in ultima analisi rileva, in difetto di iscrizione del datore di lavoro, è l’adesione del medesimo o l’accettazione implicita del contratto collettivo da parte del datore di lavoro.
Talvolta può accadere che ai lavoratori che svolgono la prestazione lavorativa in un determinato settore merceologico, le parti, e cioè il datore di lavoro e il sindacato dei lavoratori decidano di applicare un contratto diverso non corrispondente a quel settore’. Ad esempio ai lavoratori di una compagnia telefonica come la Vodafone le parti applicavano un tempo il contratto dei metalmeccanici.
D’altra parte anche quest’ultimo contratto è stato storicamente la risultante di due contratti diversi: quello dei siderurgici e quello dei meccanici.
Sono quindi le parti che determinano di comune accordo quale sia il contratto collettivo applicabile e il suo ambito di applicazione.
E sono sempre le parti a decidere il contratto collettivo applicabile nell’ipotesi in cui il datore di lavoro eserciti diverse attività economiche, mentre nell’ordinamento corporativo il criterio di individuazione del contratto applicabile era costituito dall’attività effettivamente esercitata (art. 2070, commi 1, 2, c.c.).
Questa norma non può essere oggi utilizzata per risolvere i problemi di applicazione dei contratti collettivi di diritto comune in difetto dell’iscrizione del datore di lavoro all’associazione stipulante, perché detti contratti, diversamente da quello corporativo, non sono atti normativi.
E il rischio paventato in dottrina dell’applicazione di un contratto collettivo del tutto innaturale rispetto alle oggettive caratteristiche dell’impresa appare superabile se si considera che tale eventualità non può comportare la lesione di diritti fondamentali come quello retributivo. Ed infatti nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato da un contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il lavoratore potrà comunque richiedere che la retribuzione ex art. 36 Cost. sia determinata in ragione del contratto collettivo corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore.
Infine vale la pena precisare che l’ambito di applicazione non deve essere confuso con il diverso aspetto dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo. Infatti, come si è detto l’ambito di applicazione del contratto indica l’area dei potenziali destinatari del contratto collettivo e conseguentemente i confini entro i quali un determinato contratto collettivo è suscettibile di essere applicato: si pensi per esempio all’applicabilità o meno del contratto collettivo dei bancari ai lavoratori che garantiscono la sicurezza presso le filiali delle banche.
Viceversa l’efficacia soggettiva individua i lavoratori ai quali il trattamento economico e normativo previsto da un determinato contratto collettivo viene effettivamente applicato.